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Storia e arte

Le torri campanarie

Le torri campanarie

Il progetto di Ascanio Vitozzi prevedeva due slanciati campanili collocati sulla facciata del tempio con la funzione di inquadrare scenograficamente la grande cupola e di attribuire maggiore slancio verticale all’insieme. Tuttavia il prolungarsi del cantiere e le necessità dei Cistercensi Foglianti, di poter raggiungere il costruendo Santuario attraverso un passaggio coperto, modificarono definitivamente il progetto originale.

L’edificazione del corridoio di collegamento tra chiesa e monastero, avvenuta nel 1644 (finanziata da “Madama Reale” – Cristina di Borbone, duchessa di Savoia e reggente, 1606-1663), comportò l’elevazione del primo campanile, a nord-est, utile ai monaci.

Pochi anni dopo, sulla facciata sud, vennero strutturate le basi di due torri campanarie, ma solo fino all’altezza del primo cornicione.

Successivamente, con la cupola ancora da innalzare, il tempio a cielo aperto e i lunghi periodi di stasi per calamità o scontri militari, i campanili rimasero un problema secondario e irrilevante.

Quindi, per oltre duecento anni, si mantenne in uso la torre campanaria nord-est e solo a seguito della dichiarazione del Santuario a monumento nazionale (1880/1881) si intervenne con una nuova progettazione.

Le opere esecutive furono affidate all’ingegner Stefano Vajra negli anni 1883/1884.

Egli rielaborò il primitivo campanile, diede compimento a quelli in facciata e costruì completamente quello a nord-ovest. Ne risultarono quattro massicce torri sovrastate da altissime cuspidi piramidali. L’ingegnere sostituì anche le falde in coppi della copertura della cupola con la calotta in rame.

I lavori del Vajra non incontrarono giudizi favorevoli: si ritenne che le opere in elevazione fossero stridenti, per forma e colore, alle costruzioni del Vitozzi e del Gallo.

Vent’anni più tardi le cuspidi dei campanili furono abbattute.

Nel 1920 la polemica si ripropose e fu bandito un concorso nazionale per riconsiderare la questione delle torri del Santuario: fu scelta la soluzione dell’architetto torinese Annibale Rigotti (1870-1968), che prevedeva una revisione in stile tardo barocco, ma il disegno non trovò mai attuazione.