Storia e arte
Il monastero e i “frati di buona vita”
I Cistercensi Foglianti
I “frati della buona vita”: così Carlo Emanuele I di Savoia definisce la congregazione sorta da una riforma rigorista all’interno dell’Ordine cistercense attuata da Jean de la Barriére, sullo scorcio del Cinquecento.
In una lettera al papa Clemente VIII, del 10 ottobre 1595, il duca chiede l’invio di questi monaci per l’officiatura del nascente Santuario di Vico.
Il nome di Foglianti, con il quale sono comunemente noti, deriva dall’abbazia francese di Feuillant, luogo dal quale partì la riforma. Essi si diffusero soprattutto in Francia e in Italia: in Piemonte furono accolti con grande favore dalla corte sabauda.
I primi Foglianti giunsero a Vico nell’aprile 1596 e un mese dopo il papa affidò loro, con una bolla solenne, l’ufficiatura del tempio. Il monastero che dovrà accoglierli, dovrà essere retto da un abate, e non da un semplice priore, e dovrà contenere almeno dodici monaci; nel 1611 essi diventeranno ventiquattro.
Dopo il rifiuto dei Gesuiti a svolgere il delicato compito delle confessioni dei pellegrini, i Foglianti si assunsero anche questo incarico.
L’abate che li reggeva era un abate mitrato, cioè era equiparato al vescovo e del tutto svincolato da qualsiasi controllo dell’ordinario diocesano.
Nel corso del Seicento numerosi esponenti di famiglie importanti della città di Mondovì entrarono nei Foglianti; il più famoso è Giovanni Bona (1609-1674), che sfiorò l’elezione a papa ed è notissimo come scrittore di ascetica e di mistica; Carlo Giuseppe Morozzo (1644–1729) invece fu il primo storico della congregazione, abate alla Consolata e poi vescovo di Saluzzo (1698–1729).
Le leggi di soppressione napoleoniche del 1802 misero fine per sempre alla congregazione dei Foglianti; i cistercensi che tornarono nel 1820, infatti, non vi facevano più parte; essi vi rimasero fino al 1855, quando le “leggi Casati” di abolizione degli ordini religiosi scrissero l’ultima parola sulla loro esperienza di vita religiosa presso il nostro Santuario.
Il monastero
Il progetto iniziale del monastero risale allo stesso Ascanio Vitozzi, ma per parecchi anni i Foglianti furono ospitati in una piccola casa contigua alla chiesa in costruzione, di forma rettangolare, a due piani, sulla strada per Fiamenga. L’edificio provvisorio servì loro come monastero per ben diciotto anni, nonostante le difficili condizioni di vita, in camere freddissime in inverno e caldissime in estate, umide, tanto che alcuni di loro morirono prematuramente.
Il pittore Federico Zuccaro, durante il suo viaggio in Piemonte nel 1606, vide il monastero in costruzione e lo definì “bellissimo”. I monaci cominciarono ad abitarlo nel 1613.
L’edificazione del monastero, che doveva essere confacente al prestigio dell’Ordine cistercense, sottrasse molte risorse destinate dai pellegrini alla chiesa, e ciò fu causa di infinite polemiche e di un certo risentimento dei cittadini nei confronti dei monaci.
Dopo le leggi di soppressione del 1802 il monastero, saccheggiato dalle truppe francesi nel 1796, fu salvato dall’incameramento e destinato a ricovero per i monaci anziani degli altri insediamenti Foglianti che non volessero abbandonare l’abito o passare al clero secolare.
Molto più eversive si rivelarono le leggi del 1855, che assegnarono i beni dei Cistercensi alla Cassa Ecclesiastica, ma l’amministrazione del Santuario vinse la causa contro la stessa nel 1862 e il complesso del monastero fu assegnato al Santuario come bene suo proprio.