Storia e arte
Gli architetti e il cantiere
Il 12 settembre 1594 gli uomini di Vico furono autorizzati dal vescovo, Giovanni Antonio Castrucci, a costruire una cappella attorno alla Madonna del pilone.
Il 18 giugno 1595, con l’intervento del vescovo e della città di Mondovì, vollero ampliarla fondando un edificio a tre navate su disegno del capomastro Pietro Goano.
Attorno a questa costruzione originaria sorse il tempio a pianta ovale, inaugurato il 7 luglio 1596 con una cerimonia sfarzosa, alla presenza di Carlo Emanuele I di Savoia e della famiglia ducale.
Il monumentale Santuario crebbe nell’arco di tre secoli.
La caratterizzazione stilistica e i materiali utilizzati evidenziano tre fasi costruttive.
Il progetto scelto in prima istanza da Carlo Emanuele I, è firmato da Ercole Negri di Sanfront (1541-1622), architetto e ingegnere militare nato a Centallo, stabilmente al servizio del duca. È lui ad avere l’intuizione di dare al Santuario la peculiare forma ellittica. Il Negri, inizialmente, studia il modo per integrare l’edificio già costruito dai monregalesi, “il già fatto”, con un ambizioso ampliamento a pianta longitudinale. Ma poi tenta un approccio diverso: circondare la chiesetta, che conserva al suo interno il sacro pilone, con un’enorme costruzione a pianta ovale. L’idea è certamente più intrigante e originale, tanto che affascina il duca. Dai documenti sappiamo che il Negri è venuto a Vico nel mese d’aprile 1596 e ha effettuato un sopralluogo, ma poco dopo è stato sollevato dall’incarico.
I laboriosi studi di Ercole Negri ispirarono l’intervento di Ascanio Vitozzi (1539-1615). L’architetto orvietano al servizio del duca dal 1584, subentra al collega nella seconda metà del maggio 1596. Il suo progetto conserva la fondamentale tipologia ellittica ma prevede una nuova sistemazione delle cappelle, ridotte di numero e isolate, aventi funzione funeraria. Inoltre introduce in pianta uno schema più complesso: nella forma chiusa dell’ellissi interseca una croce latina che amplia lo spazio degli ingressi laterali e dell’abside, secondo le più aggiornate combinazioni del tardo Rinascimento romano.
L’idea vitozziana è poi ancora ampliata, sulle suggestioni del duca, in un contesto monumentale ambizioso: l’architetto vagheggia lo sbancamento del declivio adiacente, e pone la chiesa al centro di un faraonico piazzale ottagonale, con strutture per i pellegrini e per i padri penitenzieri, e con il monastero dei cistercensi.
Oggi solo la parte inferiore della chiesa, rivestita all’esterno in “arenaria di Vico”, e innalzata all’interno fino agli arconi, corrisponde al progetto del Vitozzi.
Morto l’architetto nel 1615 e venuto meno il fervore delle origini, il Seicento fu prevalentemente un secolo di incertezze e di attesa per cui i lavori proseguirono a stento, con lunghi periodi di inattività.
Con il Settecento si apre il periodo decisivo legato al nome di Francesco Gallo (1672-1750): l’architetto monregalese rivede l’arduo tema della cupola ellittica e lo interpreta in termini barocchi: segna l’esterno con robusti contrafforti e ostenta l’uso del mattone a vista.
Compirà l’elevazione della magistrale opera nel 1732 e l’anno successivo chiuderà con il “cupolino” che realizza in arenaria, nel richiamo del materiale utilizzato dal Vitozzi.
Del Gallo anche il progetto del presbiterio e del tempietto alzato al centro del Santuario per porre nella giusta evidenza il sacro pilone.
L’architetto non vedrà conclusa la sua ultima opera, venendo a mancare nel 1750.
Negli anni successivi artigiani e artisti continueranno ad avvicendarsi con solerzia per dare completezza alle decorazioni e alle rifiniture dell’interno.
Il magnifico tempio a pianta ovale, eccezionale ed unico nel suo genere, sarà solennemente consacrato il 6 luglio 1777 per opera del vescovo Michele Casati (1753-1782).
Esternamente la chiesa sarà compiuta nelle forme attuali solo nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, a cura dell’ingegner Stefano Vajra: egli coprirà la cupola con la calotta in rame, sostituendo le falde di coppi apposte dal Gallo, e realizzerà le quattro torri campanarie.