Storia e arte
L’innalzamento della cupola
Fin dai primi anni il cantiere della monumentale chiesa a pianta ovale è stato caratterizzato da problemi di instabilità statica. Questi furono causati dalla conformazione geologica del suolo, in quanto le fondazioni del lato est poggiano solidamente sulla marna mentre quelle a ovest, sono impiantate su banchi d’argilla, un sedimento molto fine con un’elevata capacità di assorbimento dell’acqua.
Il cedimento dei pilastri del lato occidentale iniziò nei primi anni del Seicento, sotto i carichi delle strutture costruite in elevazione, e fu irreversibile.
Ciò lesionò alcune parti delle strutture murarie già realizzate da Ascanio Vitozzi e dai capimastri che lo succedettero.
Fu questa la prima grande difficoltà che dovette affrontare l’architetto monregalese Francesco Gallo (1672-1750) per riavviare le opere della colossale fabbrica.
Coinvolto nel cantiere già nei primi anni del Settecento, egli studiò e ponderò il problema lungamente: infine abbatté alcune parti indebolite dalle lesioni e riequilibrò il piano d’imposta del tamburo.
Le preoccupazioni d’ordine statico determinarono anche la revisione del progetto delineato dal suo predecessore. Il Gallo ridisegnò l’elevazione del tamburo e la cupola, escogitò i contrafforti, scelse di aprire i grandi finestroni ovali.
Inoltre, dovette concepire l’enorme impalcato, il cosiddetto “ponte reale”, per il supporto all’elevazione della gigantesca cupola a pianta ovale.
Il problema tecnico era di difficile soluzione: si trattava di assicurare una perfetta rigidezza al manto di sostegno dell’intradosso di una volta di grandissime dimensioni, di notevole peso e soprattutto non semisferica, cioè con una distribuzione di carichi non uniformemente ripartiti, col pericolo del possibile deformarsi dell’armatura durante la costruzione.
Per questo Francesco Gallo chiese consulenza e collaborazione a Filippo Juvarra (1672-1736), “primo architetto regio”, che giunse personalmente a Vico nella primavera del 1728.
L’armatura fu realizzata con una fitta e robusta impalcatura lignea reticolare, appoggiata su sei piloni in muratura che si innalzavano a tutt’altezza da terra fino al piano d’imposta della volta.
Nel biennio 1731/1732 la costruzione della cupola fu avviata al compimento. Nel 1733 si chiuse con l’elevazione della lanterna, il “cupolino”. Sul tetto furono posate tre falde concentriche di coppi.
Le strutture del “ponte reale” furono utilizzate ancora per altro tempo, poiché funzionali ai lavori degli artisti che si dedicarono alla decorazione dell’enorme campo pittorico; verranno completamente abbattute solo nel 1748.
Si compiva così un’incredibile impresa, una meravigliosa attestazione di coerenza, costanza e profonda fede che rende onore a tutto il territorio.
L’opera è il frutto del genio umano supportato dall’impegno della collettività, poichè l’interesse, la collaborazione e la fiducia di tutto il popolo non sono mai venute meno, neppure quando le difficoltà sembravano insormontabili e l’esito impossibile.
Per il sostegno economico dell’iniziativa ognuno ha dato secondo le proprie possibilità: sono intervenute molte famiglie patrizie con ingenti finanziamenti in denaro mentre le comunità locali hanno partecipato con le opere, le forniture di materiali, i lavori collettivi gratuiti, come negli anni eroici degli esordi.